A porta chiusa

A porta chiusa

26 Gennaio 2024 0 di Caterina

Li lascia entrare, e non tutti lo fanno in punta di piedi, o “per traverso, come se la porta fosse socchiusa”, le dice sempre la collega, con quella cadenza partenopea che colora la saggezza di familiarità.

Li lascia entrare, con il sorriso, le hanno insegnato il garbo e l’educazione e poi il sorriso accogliente leva problemi anche a lei, un perenne ghigno ostile impegnerebbe di più, lo immagina portarsi con fatica. Lascia entrare quello che le chiede conto dei risultati raggiunti nello sport, è incuriosito, lui vive sul divano, ma vabbè, non è che lei per lui sia tutto ‘sto granché. Da uomo, probabilmente, i chilometri percorsi da lei li farebbe in meno tempo, faticando anche meno. E quanti ne fai, ha chiesto sorridendo, lei, dopo averlo fatto entrare. Nessuno, sono 25 anni che non mi muovo, ma che ci vuole, quando ricomincerò, sarà un attimo arrivare ai tuoi numeri. Lascia entrare quando racconta con entusiasmo di un libro che ha letto o un film che ha visto, e ne ha parlato con persone coinvolte dalla storia, con chi ha vissuto certe esperienze alla base del racconto, e persino con chi sa di editoria o di cinema. È stata finanche chiesta in quei contesti la sua opinione, ma non è voluta entrare nel merito, non si sente competente abbastanza, ha solo fatto notare quanto la storia fosse alla fine universale e potesse vestire più dolori, più ambienti, più epoche. Lascia entrare chi ha letto una recensione che stronca il romanzo, il film e va bene così, lascia entrare chi ne ha sentito parlare e mi pare vi siano alcune cose su cui non sono d’accordo, lascia entrare chi segue i propri bias, le proprie certezze pregiudicanti, il proprio confort, quello di chi non si sporca. E lascia entrare chi dal letto rifatto da altri, dal pranzo pensato, comprato, cucinato da altri, dai vestiti lavati da altri, dalle bollette gestite e pagate da altri, dai mezzi revisionati e curati da altri, sa dispensare massime di vita, sa come si dovrebbe gestire il tempo, senza l’affanno di chi fa tutte queste cose, non si capisce perché a loro, a lei, manchi sempre il tempo, il tempo c’è, evidentemente lo sprechi, la tua è solo una scusa. Lascia entrare chi la informa come dovrebbe essere madre, non essendolo, ma lo sarebbe certamente in altro modo, questo sì; come dovrebbe essere moglie, non essendolo, ma lo sarebbe certamente in altro modo, questo sì; come dovrebbe lavorare, non avendo alcuna occupazione, ma lo farebbe certamente in altro modo, questo sì.

Lascia entrare, sorride, scrolla le spalle, guarda altrove. Dove c’è foschia, l’orizzonte oggi non è terso, lei non dirà al cielo come avrebbe dovuto essere, lei non farà notare che al suo posto avrebbe indossato un bell’azzurro, perché nella foschia dell’orizzonte c’è il suo segreto più grande: lei sa di non sapere. Crescendo, ha sempre meno certezze, maturando, alimenta i suoi punti interrogativi, invecchiando, studia, approfondisce e così facendo costruisce altri dubbi, più nebbiosi, più grandi, più spaventosi, più importanti e continua a cercare, a migliorarsi ed è felice davanti a quella spaghettata di cultura che sa di non avere ancora mangiato.

Li lascia entrare, e non tutti lo fanno in punta di piedi, o “per traverso, come se la porta fosse socchiusa”. Oggi pomeriggio è stanca, sorride, sì, ma con gli occhi spenti di chi ha sonno e mille pensieri. Oggi pomeriggio, un po’ di nascosto, si è alzata e ha chiuso quella porta. Per un pochino, non farà entrare nessuno nei suoi ricchi e colorati dubbi e li lascerà così, soli, nelle loro tracotanti, aride e lacunose certezze.


Caterina

[foto scattata dall’autrice, gennaio 2024, da qualche parte della provincia di Ancona, vicino Jesi]