
La fortuna che ho (e che odio dimenticare)
Mi sveglio con 38 di febbre, no, sono piena di impegni, oggi non ci voleva, domani ho un corso di aggiornamento, una cena aziendale.
E tra l’altro guarda che cesso che sono, in pigiama tutto il giorno, tra aspirina e sudore, il letto sfatto. Che tragedia. Che rabbia.
Ecco, sono a casa e per una volta che ci sono non ho la forza di prendermene cura. Dovrei sistemare la doccia, ho almeno due lavatrici da mandare. La cucina è un casino, il pavimento fa schifo, ieri si sono fermati gli amici fino a tardi.
Non è possibile. Un giorno in malattia, che tragedia. Che rabbia. Che spreco di tempo. Ho saltato persino la lezione di pilates.
Il mal di gola mi ha bloccato anche quel po’ di vita sociale che ancora riesco ad incastrare tra i mille impegni: niente chiacchierata con la roscia, niente telefonata con l’uomo dei sigari.
Il mal di testa mi ha tenuto lontana dal pc. Come si può vivere senza pc per un intero giorno? Scherziamo? E infatti eccomi qua, che metto lo zoom al massimo sullo schermo, ma scrivo, navigo. Ho voglia di blog, di e-mail, di social network, di chat. Il mal di testa mi ha tenuto lontana dai link polemici, dalla lettura di articoli, dai video, dai ‘like’ sui commenti di Chicco. Lontana dal ‘Profeta Blasfemo’, dagli affreschi di SC e dai commenti che immaginavo di trovarvi sulla mazzata che ha preso l’Inter ieri.
Che tragedia. Che rabbia.
E poi, d’improvviso, accade.
Accade che arriva alle orecchie un telegiornale lontano. E’ la vicina ottuagenaria che tiene la tv a palla.
250 dispersi. Nel mio mare. Il mare nostrum. Quello di quando mi tuffavo da bambina nell’azzurro subito profondo del sud; quello che ci cingeva fino alla vita mentre mio fratello mi massacrava a ‘schiacciasette’; quello in cui – signora – mi immergo ancora oggi per refrigerarmi dalle fatiche di una tintarella tutta volta all’estetica.
Sono morti.
E’ un mare zeppo di cadaveri.
Bambini. Occhi che hanno smesso di guardare. Vite che hanno smesso di sperare.
Erano tutti lì, i grandi del mondo. L’attenzione – anche extraeuropea – è puntata su questo piccolo bacino d’acqua. Da giorni, non si fa che parlare di barconi che salpano dall’Africa all’Europa. I governi di tutti i Paesi, motovedette maltesi, italiane, spagnole, francesi, greche, sono tutte lì.
E loro sono morti.
E poi, d’improvviso, accade.
Accade che un giorno a casa è prezioso. Che sono la persona più fortunata del mondo. Che la mia vita è un sogno indescrivibile, è racconto ineffabile, è paradiso in terra.
Accade che il culo che ho avuto a nascere in quest’altra parte di Mediterraneo vale più di mille superenalotto vinti. Perché è solo culo. Io sto di qua, tu stai di là. Identici. Profumiamo di basilico e menta, agrumi e olio extravergine, sia io che te. Ma io c’ho avuto culo.
Bevo un bicchiere d’aspirina guardando i miei ciclamini. Ed è poesia.
Anna Eva Laertici
[foto presa dal web]
“Accade che il culo che ho avuto a nascere in quest’altra parte di Mediterraneo vale più di mille superenalotto vinti. Perché è solo culo. Io sto di qua, tu stai di là. Identici. Profumiamo di basilico e menta, agrumi e olio extravergine, sia io che te. Ma io c’ho avuto culo”…
questa è poesia. Ho i brividi pensando a quanto sia vero e non c’era un modo più bello e triste per dirlo.
Giorgia
bellissimo! brava…
noi guardiamo i ciclamini mentre loro fanno la rivoluzione dei ciclamini (epiteto che gli abbiamo attribuito noi e che loro non gradiscono molto).
Quella rivoluzione che noi non abbiamo né il coraggio né la voglia di fare…
e allora? continuiamo a lamentarci…
Giorgia ed Andrea, grazie… d’avermi fatto capire che siamo in tanti a vivere le stesse sensazioni. Un abbraccio,
AEL