Paracetamolo
Tra le cose che mi preoccupano ci sono le persone che parlano a voce alta da sole, ma in stanza con altri.
Anch’io parlo da sola talvolta, però proprio da sola. Sennò non vale, è solo un “faccio finta d’esser concentratissimo/a, ma in realtà voglio che mi ascoltiate”: ed è a quel punto che si deve uscire dalla stanza.
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Ho mille interrogativi e nessuna risposta. E nessuno a cui chiedere, anche. So che dovrei trovare una soluzione, ma non ne sono capace e me ne vergogno.
Ho mille risposte, ma nessuna alle domande di sopra.
Ho mille risposte che nessuno mi chiede.
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Sono diventata inaffidabile, non posso fare programmi, c’è un atomo impazzito che decide per me se le giornate andranno lisce o saranno rivoluzionate.
Ti vengo dietro e mando all’aria tutto per te.
Sei il clinamen di Lucrezio.
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Come vorrei avere il tempo di rileggere i classici. Di ristudiare il latino e il greco.
Come vorrei avere tempo per qualsiasi cosa, in effetti.
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Le differenze di mentalità affiorano a tratti. Poi ci sono episodi, periodi, che le acuiscono.
Tremo di fronte a certe grettezze di provincia.
Sono certamente figlia della mia città, e per fortuna, e purtroppo.
E poi parto mediterranea, ma la sana curiosità di chi nelle valigie e nei libri cerca l’altrove, mi ha invaghito della cultura mitteleuropea.
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E quindi, scusate, ma la mattina fatico già ad alzarmi e ad affrontare il traffico. Non ho anche la forza di pensare a chi – dal basso del suo stare eternamente fermo nel proprio mondo piccolissimo –pretende di impartire lezioni d’etica. Bloccati in un chiuso medioevo. Ma senza Dante e Giotto, eh, vi piacerebbe…
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Essere genitori è passare il tempo a disquisire se la colpa è dei due liocorni che non si sono fatti trovare davanti all’arca in fila con tutti gli altri animali o di Noè che se ne è fottuto, perché aveva fretta. In ogni caso, io un mondo coi liocorni l’avrei voluto vedere, porca miseria.
Mo’ me dispiace pure, pòre bestie, che finaccia…
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“Perché spalanchi la finestra, nei giorni di maggior freddo?”
Perché il collega che mi è venuto a parlare sapeva di sigaretta, ma ne sapeva come le mani di chi negli anni ’70 fumava le Nazionali senza filtro. Quel sapore acre, che si appiccica addosso, che dà fastidio anche al fumatore. Non ce l’hanno tutti, capita a qualcuno, però, d’essere spugna come certi sipari di velluto nei vecchi teatri decadenti, che odorano di polvere, broccato e segreti mai svelati.
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A dicembre scorso mi vedevo tutte le vecchie repliche di Distretto di Polizia. Fuori il caos natalizio, la pioggia, la frenesia. Dentro casa io a guardare la tv di mattina e pomeriggio, come una nonna, come un malato annoiato.
Tornerei ad allora? No.
Con buona pace di Ricky Memphis.
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Dopo un paio di telefonate e qualche chiacchierata, mi sono resa conto che in tanti – in questo momento storico – abbiamo una percezione della realtà peggiore di quello che è. Ho modo di confrontarmi spesso con persone rette, cristalline, pulite nell’animo e pacate, cortesi, gentili nei modi. All’inizio mi ritenevo fortunata, oggi capisco che sono tante, ma non fanno clamore.
Vorrei avessero un microfono, si facessero sentire. Ma la gentilezza urlata è un pericoloso ossimoro e perde il suo fascino, e non so come uscire da questa impasse.
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Lo step tra i 20 e i 30 si nota quando prendi consapevolezza che non si può essere tutto nella vita. E’ una presa di coscienza dolorosissima e necessaria.
Lo step tra i 30 e i 40 voglio passarlo nel ritenere la frase precedente un’immane cazzata.
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Lui, per me, è un trovatore di soluzioni.
La scena è questa: io lo chiamo, mi sfogo, parto con l’elenco delle cose che non mi vanno bene e… zac! “Fai così”. Poi ancora: zac! “ma non potresti fare questo?”
Insomma, lui appena vede un problema, ne cerca – e trova, complimenti – la soluzione. Che sia pratica (“mi si è rotta la serranda”), che sia metaforica (“non so come trattare quell’argomento con quella persona”), lui zac! Zac! Lancia soluzioni.
Io però certe volte non cerco il trovatore di soluzioni, cerco un’eco. Un orecchio. Una tromba delle scale, un burrone desolato.
Perché io invece sono un’espositrice di problemi.
Anzi, un’ottima espositrice di problemi. Potrei tenere qualcuno inchiodato per ore a sentire le mie liste di ansie.
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Quelli che spiegano le barzellette, le freddure, le battute.
Perché lo fate? Io voglio sapere.
Perché fate questo?!??
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Prendersi sul serio, qualche volta, mi fa bene.
Però c’è stato anche quel giorno in cui l’ho fatto, e in un solo fiammeggiante istante ho visto quanti erano migliori di me. La dolorosa consapevolezza è stata un lampo rischiarante e accecante. E’ stata coltello che punzecchia le carni già provate. Ora non so se continuare o no. Ma anche l’ironia come registro di vita mi ha stancato.
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Il mondo saltava per aria, ho sentito sparare all’arciduca Francesco Ferdinando, dopo di che c’era la solita follia degli ultimi anni e non sapevo come proteggerti, e non sapevo come crearti un posto sicuro dove crescere. Era un mondo in cui si alzano i muri, si addita il diverso come nemico, si crea la paura ad arte e la si alimenta con violenza e cattiveria.
Poi hai avuto la febbre e d’improvviso quel mondo che crollava restava fuori.
Ora siamo solo io e te, e la cura di tutti i miei problemi è la tachipirina.
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Caterina